Oggi non è tempo di ricette.
Oggi è il giorno della memoria.
Diciannove anni fa era soltanto una domenica pomeriggio d'estate lenta e sonnacchiosa come lo sono le domenica siciliane. C'è un torpore che a noi siciliani ci pervade sempre figuratevi a luglio quando il sole brucia anche alle otto di sera, e al pranzo serio della domenica non ci si rinuncia nemmeno se il termotreto segna + trenta.
Io avevo tredici anni il 19 luglio 1992 e già avevo vissuto la mia buona dose di delitti di mafia, morti sparati in mezzo alle strade. Ricordo i titoli del giornale L'Ora, mio nonno che tutte le mattine andava a comprarlo, fino a quando lo pubblicarono, poi dovette cedere, volente o nolente alla cronaca del Giornale di Sicilia. Avevo già vissuto la strage di Capaci.
Ma la strage di via D'Amelio, la fine brutale del giudice Borsellino e dei suoi agenti, fu un'altra cosa. Fu uno squarcio della carne, del cuore, della mia anima di palermitana che credeva nella giustizia.
Ricordo l'edizione straordinaria del telegiornale, i primi tg non dicevano che il giudice fosse morto, non so perché. Io e la mia famiglia eravamo fuori Palermo da una zia, rientrammo subito, in macchina per tutto il viaggio solo silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Io pregavo, anche se sapevo che era morto, pregavo che non lo avessero ucciso. Che non avessero ucciso l'ultima speranza che credevo avesse Palermo, l'ultimo soffio di libertà e giustizia.
E invece Palermo era stata sventrata, via D'Amelio era tale e quale alle immagini di guerra che arrivavano da paesi lontani: fumo nero, un braccio gettato sull'asfalto, un pezzo di carne bruciata che fino a poco tempo prima era una vita, erano fiati, erano sorrisi, era paura, era amore. Amore per Paolo, amore per la giustizia.
Con Paolo Borsellino non ci uccisero la speranza.
La mia rabbia negli anni crebbe nei confronti della Mafia, e dell'indifferenza nei confronti della Mafia, e del malcostume in maniera proporzionale alla paura che avevo quel 19 luglio e i giorni che vennero dopo.
Ricordo il rumore sordo degli elicotteri, giorno e notte, il silenzio immobile della città inghiottita dall'afa, i militari per strada in una città che sembrava in assetto di guerra, le zone rimozione sparse per la città sotto le case dei magistrati a rischio. L'impegno dello Stato per controstare la Mafia e i suoi attacchi. Dopo Falcone e Borsellino, dopo le loro morti.
Quell'impegno durò qualche anno. Oggi di Mafia non si sente parlare quasi più in città, piuttosto di delinquenza, di malcostume, di gente che non rispetta le regole. Come se anche questo non fosse Mafia.
Oggi mi ricordo di Paolo, oggi che sto compiendo una mia sfida personale, per non lasciare Palermo, per rimanere e farlo nel rispetto delle regole. Come me altri giovani imprenditori, tante associazioni che ogni giorno portano avanti la loro personale battaglia. Cerchiamo di non scendere a compromessi, perseveriamo in questo per non diventare servi di nessuno, per poter respirare fino in fondo "Quel fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale".Grazie Paolo.
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